ANUNNAKI
Mondo inferiore/acque/emisfero meridionale o australe
Mondo superiore/atmosfera della Terra/emisfero settentrionale o boreale
All’arrivo di Enlil sul nostro pianeta, il “comando della Terra” venne tolto a Enki, e fu allora, probabilmente, che il suo nome o epiteto venne cambiato in E.A., cioè “signore delle acque”, invece che “signore della terra”. Secondo i testi sumerici, poco dopo l’arrivo degli dèi sulla Terra fu concordata una separazione dei poteri: Anu sarebbe rimasto nei cieli e avrebbe governato il Dodicesimo Pianeta; Enlil avrebbe avuto il comando sulle terre; ad Enki, invece, fu assegnato l’AB.ZU (apsu in accadico). Poiché il significato del nome EA era legato al concetto di “acqua”, gli studiosi hanno tradotto AB.ZU come “profondità delle acque”, partendo dal presupposto che, come nella mitologia greca, Enlil rappresentasse Zeus tonante ed Ea fosse il prototipo di Poseidone, dio degli oceani. Altre volte il dominio di Enlil veniva anche definito Mondo Superiore, in opposizione al Mondo Inferiore di Enki; anche in questo caso gli studiosi hanno pensato che Enlil controllasse l’atmosfera della Terra, mentre Ea fosse il sovrano delle “acque sotterranee” – una specie di Ade in cui si riteneva che i popoli mesopotamici credessero. Anche il nostro termine abisso (che deriva da apsu) indica acque profonde, oscure, pericolose, nelle quali si può affondare e sparire. Perciò, imbattendosi in testi sumerici che parlavano del Mondo Inferiore, lo tradussero con Unterwelt (“mondo sotterraneo”) o Totenwelt (“mondo dei morti”); solo recentemente gli studiosi di sumerologia hanno mitigato la connotazione lugubre utilizzando nelle traduzioni il termine netherworld (approssimativamente “mondo in basso”, “inferi”). L’erronea interpretazione si deve soprattutto a una serie di testi mesopotamici che lamentavano la scomparsa di Dumuzi, meglio conosciuto dai testi biblici e canaaniti come il dio Tammuz. E con lui che Inanna/Ishtar ebbe la sua storia d’amore più famosa; e quando egli scomparve, essa andò a cercarlo nel Mondo Inferiore. Il ponderoso Tammuz-Liturgen und Verivandtes di P. Maurus Witzel, un’opera fondamentale sui “testi di Tammuz” sumerico-accadici, non fece che perpetuare l’equivoco, sostenendo che il racconto epico di Ishtar alla ricerca del suo amato era «un viaggio nel regno dei morti, e il ritorno finale alla terra dei vivi». I testi sumerici e accadici che descrivono il viaggio di Inanna/ Ishtar al Mondo Inferiore precisano che la dea decise di andare a trovare sua sorella Ereshkigal, signora di quei luoghi, e che Ishtar non era affatto morta, né era stata portata lì contro la sua volontà: al contrario, vi arrivò viva e del tutto inattesa, tanto che per poter entrare dovette minacciare il guardiano:
Se non apri quel cancello, in modo che io possa entrare,
sfonderò la porta, romperò la sbarra,
abbatterò lo stipite e rimuoverò le porte.
Una dopo l’altra, le sette porte che conducevano alla dimora di Ereshkigal si aprirono davanti a Ishtar; quando, alla fine, Ereshkigal la vide, fu presa da un impeto d’ira (il testo accadico dice: «Scoppiò alla sua presenza»). Il racconto sumerico, alquanto vago sullo scopo del viaggio e sulle cause della collera di Ereshkigal, rivela che Inanna si aspettava questa reazione della sorella, e anzi aveva avvertito in anticipo le altre divinità riguardo al suo viaggio, affinché provvedessero a liberarla qualora fosse rimasta imprigionata nel Mondo Inferiore. Sposo di Ereshkigal e signore del Mondo Inferiore era Nergal. Il modo in cui egli era giunto al Mondo Inferiore e ne era divenuto il sovrano non solo ci dà preziose indicazioni sulla natura umana degli “dèi”, ma lascia anche intendere che quel mondo era tutt’altro che un “mondo dei morti”. Il racconto, di cui possediamo varie versioni, comincia con un banchetto nel quale gli ospiti d’onore erano Anu, Enlil ed Ea. Il banchetto si teneva “nei cieli”, ma non nella dimora di Anu sul Dodicesimo Pianeta. Forse avvenne a bordo di una nave spaziale in orbita, dal momento che quando Ereshkigal non potè salire per raggiungerli, gli dèi le mandarono un messaggero che «discese la lunga scala dei cieli e arrivò al cancello di Ereshkigal». Avendo ricevuto l’invito, Ereshkigal ordinò al suo consigliere Namtar:
«Sali, Namtar, la lunga scala che porta ai cieli;
togli il piatto dalla tavola, prendi tutto ciò che mi spetta;
qualunque cosa Anu ti darà, portala a me».
Quando Namtar entrò nella sala del banchetto, tutti si alzarono a salutarlo, ad eccezione di “un dio calvo, seduto in fondo”. Tornato nel Mondo Inferiore, Namtar riferì l’incidente, ed Ereshkigal e tutti gli dèi minori del suo regno si sentirono offesi. Ereshkigal chiese che quel dio che li aveva insultati fosse mandato da lei per essere punito. Quel dio, però, era Nergal, un figlio del grande Ea. Dopo averlo rimproverato ben bene, suo padre lo mandò a compiere quel viaggio da solo, armato solo di una messe di consigli paterni su come comportarsi. Giunto alla porta di Ereshkigal, Nergal fu riconosciuto da Namtar come l’autore dell’offesa e venne condotto nell'”ampio cortile di Ereshkigal”, dove fu sottoposto a varie prove.A un certo punto, Ereshkigal andò a fare il suo quotidiano bagno.
… Essa rivelò il suo corpo.
Ciò che è normale per uomo e donna,
egli… nel suo cuore…
… si abbracciarono,
appassionatamente si appoggiarono sul letto.
Per sette giorni e sette notti fecero l’amore. Il Mondo Superiore, intanto, era in gran fermento per l’assenza di Nergal. Questi disse allora a Ereshkigal: «Lasciami andare; io andrò là e ritornerò». Ma appena egli partì Namtar andò da Ereshkigal e accusò Nirgal di non avere alcuna intenzione di tornare. Di nuovo, allora, Ereshkigal mandò Namtar da Anu con un messaggio chiaro:
Io, tua figlia, ero giovane;
non ho mai conosciuto il gioco delle fanciulle…
Quel dio che mi hai mandato
e che ha avuto rapporti con me…
Mandalo di nuovo da me, che sia mio marito,
e che dimori con me.
Sembra, però, che Nergal non avesse ancora progetti matrimoniali, poiché organizzò una spedizione militare e abbatté le porte della casa di Ereshkigal, col proposito di “tagliarle la testa”. Allora Ereshkigal implorò:
«Sii mio marito e io sarò tua moglie,
ti lascerò il dominio
sull’ampia Terra Inferiore.
Metterò la Tavola della Sapienza nella tua mano.
Tu sarai il Signore, e io la Signora».
Ed ecco il lieto fine:
Quando Nergal udì le sue parole,
prese la sua mano e la baciò,
asciugandole le lacrime:
«Ciò che hai desiderato per me
da molti mesi – che sia ora!».
Così raccontati, gli avvenimenti non sembrano riferirsi a una Terra dei Morti. Al contrario: era un luogo in cui gli dèi potevano entrare e uscire, in cui potevano amarsi, un luogo abbastanza importante da essere affidato a una nipote di Enlil e a un figlio di Enki. Riconoscendo che i fatti contrastavano con il concetto di Mondo Inferiore come posto cupo e triste, W.F. Albright (Mesopotamian Elements in Canaanite Eschatology, «Elementi mesopotamici nell’escatologia canaanita») avanzò l’ipotesi che la dimora di Dumuzi nel Mondo Inferiore fosse «una casa luminosa e piena di frutti nel paradiso sotterraneo detto “la bocca dei fiumi” che era strettamente associato con la casa di Ea nell’Apsu». Si trattava sicuramente di un luogo lontano e difficile da raggiungere, ma non certo di un “luogo di non ritorno”. Come Inanna, anche altre divinità erano andate nel Mondo Inferiore e ne erano poi ritornate. Enlil fu scacciato da Abzu per un certo periodo, dopo aver violentato Ninlil. Anche Ea faceva spesso la spola tra Eridu, a Sumer, e l’Abzu, dove portava “i prodotti artigianali di Eridu” e dove costruì un “maestoso santuario” per se stesso. Lungi dall’essere un luogo oscuro e desolato, era invece descritto come un posto pieno di luce e di acque correnti.Una terra ricca, prediletta da Enki;piena di ricchezze, perfetta in pienezza… in cui un fiume possente attraversa la terra.
Abbiamo già visto come Ea sia spesso raffigurato come dio delle acque correnti. Le fonti sumeriche ci confermano che queste acque correnti esistevano davvero, e non a Sumer e nelle sue pianure, ma proprio nel cosiddetto Mondo Inferiore. W.F. Albright attirò l’attenzione su un testo che definiva il Mondo Inferiore come Terra di UT.TU, “nell’ovest” di Sumer. Vi si parla di un viaggio di Enki nell’Apsu:
A te, Apsu, terra pura,
dove possenti acque corrono veloci,
alla dimora delle acque correnti
si reca il Signore…
La dimora delle acque correnti
Enki fondò nelle pure acque;
nel mezzo dell’Apsu,
un grande santuario egli fondò.
Si tratta, evidentemente, di un posto al di là di un mare. In un lamento per il “puro figlio”, il giovane Dumuzi, si legge che egli fu portato via, verso il Mondo Inferiore, a bordo di una nave. Una Lamentazione sulla distruzione di Sumer descrive come Inanna sia riuscita a introdursi furtivamente su una nave in attesa. «Dai suoi domini essa se ne andò. Essa discende al Mondo Inferiore». Un lungo testo, poco compreso perché non ne sono state trovate versioni intatte, tratta di un acceso dissidio tra Ira (titolo attribuito a Nergal come signore del Mondo Inferiore) e suo fratello Marduk. Durante la disputa Nergal lasciò i suoi domini e andò ad affrontare Marduk a Babilonia. Marduk, dal canto suo, tuonò minaccioso: «All’Apsu scenderò, per sovrintendere agli Anunnaki… le mie armi terribili scatenerò contro di loro». Per raggiungere l’Apsu, lasciò la terra di Mesopotamia e viaggiò sopra “acque che si alzavano”. Egli era diretto ad Arali, nella “cantina” della Terra, e il testo fornisce tracce precise per localizzare tale “cantina”:
Nel lontano mare
a 100 beru d’acqua…
si trova la terra di Arali…
È là dove le Pietre Azzurre causano mali,
dove l’artigiano di Anu
porta l’Ascia d’Argento, che brilla come il giorno.
Il beru, che è un’unità di misura tanto di superficie quanto di tempo, veniva probabilmente utilizzata in questa seconda accezione con riferimento ai viaggi via acqua. Ogni beru corrispondeva a due ore, e perciò cento beru equivalevano a due ore di viaggio. Ovviamente non c’è modo di determinare con precisione la velocità media alla quale si muovevano le imbarcazioni del tempo, ma è certo che anche allora, perché si potesse parlare di un viaggio per mare veramente lontano, la destinazione doveva essere ad almeno tre o quattromila chilometri di distanza. I testi indicano che Arali era situata a ovest e a sud di Sumer. Una nave che, partendo dal Golfo Persico, viaggiasse in direzione sud-ovest per circa 4.000 km non poteva avere che una destinazione: le coste dell’Africa meridionale. Solo una conclusione di questo genere può spiegare le espressioni Mondo Inferiore – che indicherebbe allora l’emisfero meridionale o australe, dove stava la Terra di Arali – e Mondo Superiore – cioè l’emisfero settentrionale o boreale,dove si trovava Sumer. Una tale divisione degli emisferi terrestri tra Enlil (a nord) ed Ea (a sud) corrisponde, tra l’altro, al nome attribuito ai cieli dell’emisfero boreale (Via di Enlil) e a quelli dell’emisfero australe (Via di Ea). Dal momento che i Nefilim sapevano volare per lo spazio, girare in orbita attorno alla Terra e scendere sul nostro pianeta, non deve stupire il fatto che conoscessero l’Africa meridionale, oltre alla Mesopotamia. D’altra parte molti sigilli cilindrici raffigurano animali tipici di quella regione (zebre, struzzi), scene della giungla o sovrani con indosso pelli di leopardo, secondo l’usanza africana. Quale interesse avevano i Nefilim in quella parte dell’Africa, tanto da mandarvi un genio della scienza come Ea e da affidare proprio agli dèi che governavano quella regione un’eccezionale “Tavola della Sapienza”? Torniamo per un momento al termine sumerico AB.zu, che gli studiosi hanno sempre tradotto con “profondità delle acque”, ma che a questo punto richiede un’analisi più approfondita. Letteralmente, il termine significava “profonda sorgente primordiale” non necessariamente, quindi, legata al concetto di acqua. Secondo la grammatica sumerica la disposizione delle sillabe all’interno di una parola non influiva sul suo significato: AB.ZU e ZU.AB, quindi, avevano lo stesso significato. La forma ZU.AB, in particolare, sembra avere un preciso parallelismo con il termine za-ab che, in ebraico e nelle altre lingue semitiche, ha sempre significato “metallo prezioso”, in particolare “oro”. Il segno pittografico di AB.ZU era quello di un profondo scavo all’interno della Terra, sormontato da un pozzo. Ea, dunque, non era il signore di un’indefinita “profondità delle acque”, ma il dio preposto allo sfruttamento dei minerali della Terra!
In effetti, il greco abyssos, derivato dall’accadico apsu, indicava anch’esso un foro molto profondo nel terreno. I testi accadici spiegavano che “apsu è nikbu”; il significato di quest’ultimo termine, come del suo equivalente ebraico nikba è molto preciso: una profonda incisione, o trivellamento, operato dall’uomo nel terreno. P. Jensen (Die Kosmologie der Babylonier) osservava già nel 1890 che l’espressione accadica Bit Nimiku, alquanto frequente nei testi, non andava tradotta con “casa della sapienza”, bensì con “casa della profondità”. E citava un testo (V.R. 30, 49-50ab) che affermava: «È da Bit Nimiku che provengono oro e argento». Un altro testo (III.R. 57, 35ab) spiegava poi che il nome accadico “Dea Shala di Nimiki” era la traduzione dell’epiteto sumerico “Dea che tiene in mano il bronzo splendente”. Il termine accadico nimiku, che è stato tradotto con “sapienza”, concludeva Janse, ha a che fare con i metalli. Ma il perché, ammetteva egli candidamente, «non lo so». Alcuni inni mesopotamici esaltano Ea come Bel Nimiki, tradotto generalmente con “signore di sapienza”; la traduzione corretta, invece, sarebbe senza dubbio “signore delle miniere”. Possiamo dedurre che, proprio come la Tavola dei Destini a Nippur conteneva dati astronomici, la Tavola della Sapienza affidata a Nergal ed Ereshkigal doveva essere in realtà una “tavola delle miniere”, una sorta di “banca dati” relativa alle operazioni estrattive dei Nefilim. Come signore dell’Abzu, Ea era assistito da un altro figlio, il dio GI.BIL (“colui che brucia il suolo”), al quale era affidato il fuoco e le attività di fusione. Considerato il “fabbro della Terra”, egli veniva di solito raffigurato come un dio giovane nell’atto di emergere dal suolo o di discendervi, e dalle cui spalle uscivano raggi roventi o scintille di fuoco. I testi affermano che Gi.bil era stato istruito da Ea in “saggezza”, il che significa che Ea gli aveva insegnato le tecniche di estrazione dei minerali dal sottosuolo .
I minerali metalliferi che i Nefilim estraevano in Africa meridionale venivano trasportati in Mesopotamia a bordo di speciali imbarcazioni da carico chiamate MA.GUR UR.NU AB.ZU (“navi per minerali del Mondo Inferiore”). Una volta giunti qui, i minerali venivano portati a Bad-Tibira, il cui nome letteralmente significava “il fondamento della lavorazione dei metalli”. Fusi e raffinati, i metalli erano poi colati in lingotti la cui forma rimase immutata per millenni in tutto il mondo antico. Ne sono stati infatti ritrovati numerosi esemplari in diversi siti archeologici del Vicino Oriente, il che conferma che davvero i pittogrammi sumerici erano rappresentazioni fedeli degli oggetti “scritti”. Il segno sumerico che indicava il termine ZAG (“prezioso purificato”) era la raffigurazione del lingotto; sembra che anticamente esso fosse perforato nel senso della lunghezza e che attraverso il foro si facesse passare un bastone per trasportarlo .
In molte raffigurazioni, il dio delle acque correnti appare affiancato da uomini che portano appunto lingotti di questo tipo, a indicare che egli era anche il signore delle miniere .
I diversi nomi ed epiteti con cui era conosciuta la terra africana di Ea contengono spesso riferimenti alla sua natura e localizzazione. Essa veniva chiamata A.RA.LI (“luogo dei filoni splendenti”), cioè la terra da cui provengono i minerali metalliferi. Inanna, volendo scendere nell’emisfero meridionale, ne parla come di una terra dove «il prezioso metallo è coperto dal suolo» – dove, cioè, il metallo si trova sotto terra. Un testo citato da Erica Reiner, nell’elencare montagne e fiumi di Sumer, affermava: «Monte Arali: casa dell’oro»; e un testo frammentario descritto da H. Radau confermava che Arali era la terra da cui dipendevano le attività di Bad-Tibira. I testi mesopotamici parlano della “terra delle miniere” come di un territorio montuoso, con altipiani erbosi e steppe e con vegetazione lussureggiante. La capitale di Ereshkigal, secondo i testi sumerici, si trovava nel GAB.KUR.RA (“nel seno della montagna”), cioè nell’entroterra. Nella versione accadica del viaggio di Ishtar, il custode del cancello le dà il benvenuto:
Entra, mia signora;
Kutu si rallegri per te;
il palazzo della terra di Nugia
sia felice della tua presenza.
Se in accadico il termine KU.TU aveva il senso di “ciò che sta nel cuore della terra”, nell’accezione originale sumerica significava anche “le luminose terre alte”. Si trattava quindi, secondo i testi, di una terra luminosa e piena di sole. I termini sumerici che indicavano l’oro (KU.GI – “lucente estratto dalla terra”) e l’argento (KU.BABBAR – “oro lucente”) mantenevano l’originaria associazione del metallo prezioso con il luminoso (ku) territorio di Ereshkigal. I segni pittografici utilizzati nella prima forma di scrittura sumerica rivelano una grande familiarità con i diversi processi metallurgici, ma anche la consapevolezza che i metalli provenivano da miniere scavate nelle profondità del terreno. I pittogrammi che identificavano rame e bronzo (“pietra bella e lucente”), oro (“il supremo metallo estratto dalle miniere”) e il concetto di “raffinato” (“lucente-purificato”) erano tutte varianti pittoriche di un pozzo di accesso a una miniera (“apertura/bocca per metallo rosso scuro”) .
Il nome della regione – Arali – poteva anche essere scritto come una variante del pittogramma che significa “rosso scuro” (riferito al suolo), di quello che indica Kush (anch’esso “rosso scuro”, ma passato col tempo a significare “negro”), o dei metalli che vi si estraevano; in ogni caso, il pittogramma rappresentava sempre una variante di un pozzo di accesso a una miniera .
I numerosi riferimenti all’oro e ad altri metalli contenuti negli antichi testi fanno pensare che l’arte di lavorare i metalli si conoscesse fin dai tempi più antichi. Sembra che già agli albori della civiltà esistesse un fiorente commercio di metalli, dovuto certamente alle conoscenze che l’umanità aveva tratto dagli dèi, i quali, come affermano i testi, estraevano e lavoravano i metalli molto prima che sulla Terra comparisse l’uomo. Molti saggi nei quali si traccia una sorta di parallelismo tra i racconti divini mesopotamici e l’elenco biblico dei patriarchi di epoca antidiluviana mettono in evidenza come, secondo la Bibbia, Tubal-cain “lavorava oro e rame e ferro” molto prima del Diluvio. L’Antico Testamento parlava di Ophir, che doveva trovarsi in qualche punto dell’Africa, come di un grande giacimento aurifero. Le navi di re Salomone scendevano per il Mar Rosso da Ezion-geber (l’odierna Elath); «e andavano a Ophir e da là prendevano oro». Per non rischiare di dover ritardare la costruzione del Tempio del Signore a Gerusalemme, Salomone si mise d’accordo con il suo alleato, Hiram, re di Tiro, per mandare una seconda flotta a Ophir seguendo un’altra rotta:
E il re aveva in mare una flotta di Tarshish
con la flotta di Hiram.
Ogni tre anni arrivava la flotta di Tarshish,
e portava oro e argento, avorio e scimmie.
La flotta di Tarshish impiegava dunque tre anni per andare e tornare da Ophir. Se teniamo conto del tempo che occorreva per effettuare il carico, possiamo dedurre che il viaggio in ciascuna delle due direzioni doveva durare ben più di un anno. Ciò fa pensare a una rotta molto più lunga rispetto alla linea diretta attraverso il Mar Rosso e l’Oceano Indiano, una rotta che forse circumnavigava l’Africa .
Quasi tutti gli studiosi collocano Tarshish nel Mediterraneo occidentale, allo Stretto di Gibilterra o comunque vicino ad esso: questo, infatti, sarebbe stato un ottimo punto da cui intraprendere un viaggio attorno all’Africa. Secondo alcuni il nome Tarshish significherebbe “luogo della fusione”. Molti specialisti biblici hanno avanzato l’ipotesi che Ophir corrispondesse all’attuale Zimbabwe (ex Rhodesia). Z. Herman (Peoples, Seas, Ships, «Popoli, mari, navi») raccolse le prove che, fin dai tempi più antichi, gli Egizi ottenevano molti minerali proprio da questa regione. Nello Zimbabwe e in Sud Africa spesso gli ingegneri minerari hanno cercato l’oro proprio laddove vedevano segni di antichi pozzi o tracce di un’attività estrattiva preistorica. Ma come si faceva a raggiungere la dimora di Ereshkigal, nell’entroterra? Come venivano trasportati i minerali dal “cuore della terra” ai porti sulla costa? Sapendo che i Nefilim si affidavano soprattutto all’acqua come arteria di trasporto, sarebbe logico pensare a un grande fiume navigabile nel Mondo Inferiore. La leggenda di “Enlil e Ninlil” ci dice che Enlil fu scacciato e mandato in esilio nel Mondo Inferiore, e che quando vi giunse, dovette farsi trasportare sull’altra riva di un grande fiume. Un testo babilonese sul destino del genere umano chiamava il fiume del Mondo Inferiore “Fiume Habur”, “Fiume dei Pesci e degli Uccelli”. E in alcuni testi sumerici il territorio di Ereshkigal era soprannominato “la prateria di HA.BUR”. Dei quattro grandi fiumi africani, uno, il Nilo, scorre verso nord e si getta nel Mediterraneo; il Congo e il Niger sfociano nell’Oceano Atlantico a ovest; e lo Zambesi nasce nel cuore dell’Africa e prosegue formando una specie di semicerchio verso est fino a raggiungere la costa orientale: qui si getta in mare con un ampio delta, dove le imbarcazioni possono attraccare con facilità. Il fiume è inoltre navigabile per centinaia di chilometri verso l’interno. Era dunque lo Zambesi il “Fiume dei pesci e degli uccelli” del Mondo Inferiore? E le maestose Cascate Vittoria erano forse le cascate che un testo citava come luogo dove sorgeva la capitale del regno di Ereshkigal? Ben sapendo che molti siti minerari “di recente scoperta” nell’Africa meridionale erano stati sfruttati per l’attività estrattiva fin dall’antichità, l’Anglo-American Corporation incaricò alcune squadre di archeologi di esaminare quei siti prima che le moderne attrezzature di trivellamento spazzassero via ogni traccia del passato. Riassumendo sulla rivista «Optima» i risultati di questi studi, Adrian Boshier e Peter Beaumont affermarono di aver trovato tracce di attività mineraria anche su strati archeologici antichissimi. La datazione al radiocarbonio, effettuata presso la Yale University e presso l’Università di Groningen, in Olanda, stabilì per i manufatti di quel periodo un’età compresa tra il 2000 e il 7690 a.C.! Incuriositi dall’inaspettata antichità dei ritrovamenti, gli archeologi provarono ad estendere l’area delle ricerche. Alle pendici di un’altura posta di fronte agli scoscesi dirupi occidentali del Lion Peak, un blocco di ematite del peso di cinque tonnellate ostruiva l’ingresso a una caverna. Alcuni pezzi di carbone trovati sul posto consentirono di datare le operazioni estrattive effettuate in quella caverna a un periodo compreso tra 20.000 e 26.000 anni prima di Cristo. Era dunque possibile che, già durante l’Età della Pietra, si estraessero minerali metalliferi dal sottosuolo? Increduli, gli scienziati cominciarono a scavare in un punto in cui sembravano esservi tracce di un’antica attività estrattiva, quindi inviarono un campione di carbone al laboratorio di Groningen. Il risultato fu una datazione risalente al 41250 a.C, con un’approssimazione di 1.600 anni in più o in meno! Alcuni scienziati sudafricani, allora, si misero alla ricerca di miniere preistoriche nello Swaziland. In caverne minerarie scoperte trovarono fuscelli, foglie, erbe e persino piume, che, presumibilmente, gli antichi minatori avevano portato all’interno della grotta per farne un giaciglio per la notte. Allo strato corrispondente al 35000 a.C, poi, trovarono delle ossa segnate da tacche, il che «indica che l’uomo, anche in quel periodo così remoto, sapeva contare». Altri reperti anticiparono poi la datazione di quei manufatti a circa 50.000 anni prima dell’era cristiana. Gli scienziati ritenevano però che «la vera nascita dell’attività mineraria nello Swaziland risale più probabilmente a 70.000-80.000 anni prima di Cristo» e avanzavano l’ipotesi che «l’Africa meridionale… dovette essere all’avanguardia delle invenzioni e delle innovazioni tecnologiche per gran parte del periodo successivo al 100000 a.C». Commentando tali ritrovamenti, il Dr. Kenneth Oakley, già capo dell’equipe di antropologia del Museo di Storia Naturale di Londra, diede loro un altro significato: «Essi gettano una luce importante sulle origini dell’uomo… è possibile che proprio l’Africa meridionale sia stata la culla dell’evoluzione dell’uomo», il “luogo di nascita” dell’Homo sapiens. Come dimostreremo, fu in effetti proprio là che l’uomo moderno apparve sulla Terra, attraverso una catena di avvenimenti determinata dalla ricerca di metalli da parte degli Anunnaki.
Fonte: altragenesi.blogspot.it
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