Antico Culto Celtico
PER UN RITORNO AL SACRO
Non è certo semplice ricostruire nel dettaglio le Tradizioni e la Vita Spirituale degli antichi Popoli Celtici; quella celtica era infatti, una Cultura che si tramandava oralmente, le maggiori testimonianze scritte ci sono quindi giunte da autori greci e romani che, è inutile nasconderlo, avevano evidenti difficoltà nel comprendere a pieno determinati usi e costumi.
Il problema principale in questi scritti è che data la appartenenza etnica degli autori, in essi il Celta viene visto (a volte anche in maniera inconscia) come un nemico, le descrizioni che ne conseguono finiscono perciò per apparire spesso più che saggi culturali, propaganda politica e la storia lo ha tristemente confermato.
Per avere quindi una giusta visione della Celticità antica è necessario sapere discriminare, interpretare e integrare senza alcun timore di infrangere tabù imposti da chi non ha alcuna autorità in materia.
I Celti hanno dato un contributo assai importante alla formazione etnica e culturale della Lombardia e dell’Europa centrale ed insulare. Conoscere il loro modo di intendere e vivere la spiritualità, significa poter comprendere una parte fondamentale della nostra storia.
Troppo spesso gli antichi popoli dell’Europa centro settentrionale sono stati definiti “barbari”; (a parte i mitici e misteriosi Iperborei).
È infatti ormai assodato che tutto ciò che chiamiamo civiltà, cultura, “vita” in senso elevato, provengono dal nord, l’originaria patria dei popoli Indoeuropei prima della separazione.
La civiltà classica ha cercato in tutti i modi di negare questa realtà, e il mondo moderno purtroppo, risente ancora di certe “superstizioni” provenienti dall’area mediterranea.
Greci e Romani, hanno cercato di dipingere i popoli che vivevano più a nord come “selvaggi” solo perché in questo modo potevano soddisfare la loro materialistica vanità (Grecia classica) o veder legittimati i loro fini espansionistici (Roma imperiale). Ci pare pertanto doveroso, per quanto è possibile, ristabilire la verità storica su una civiltà, quella celtica (ma lo stesso discorso si potrebbe fare per quella germanica), che rappresenta uno dei periodi più interessanti e affascinanti della storia conosciuta.
Per comprendere la vita tradizionale dei popoli indoeuropei bisogna innanzitutto immergersi in una visione dell’esistenza decisamente spirituale, (la realtà materiale era considerata una diretta emanazione di piani più sottili e superiori). Non sarà facile per tutti, ma crediamo che valga la pena tentare: per coloro che vi riusciranno potrebbero aprirsi orizzonti fino a ieri inaspettati.
Le tradizioni religiose e la struttura sociale delle comunità Celtiche erano organizzate secondo la visione tripartita del mondo, tipica del pensiero indoeuropeo, la società era quindi fondamentalmente suddivisa in tre classi: la sacerdotale, la guerriera e la produttrice. La ripartizione in classi della società celtica non va certo confusa con certe logiche di sfruttamento assai diffuse nel mondo moderno, essa trova infatti la sua motivazione in una concezione trascendente dell’esistenza che portava ognuno a svolgere la mansione cui era più incline per natura, in questo modo a ogni attività venivano riconosciute dignità e importanza.
Questo tipo di organizzazione valorizzando le doti dell’individuo, si proponeva come prima cosa di creare un ordine che potesse legittimamente trionfare sul caos e dar vita a una società che fosse sempre in grado di continuarsi nella stabilità di una tradizione considerata di origine divina.
Il potere spirituale e quello materiale erano detenuti dalla classe sacerdotale e da quella aristocratico-guerriera che, come vedremo, avevano ognuna delle ben specifiche funzioni, una complementare all’altra, mentre alla classe produttrice spettava il compito di fornire tutto ciò che era necessario alla sussistenza della comunità: rientrano pertanto in questa categoria agricoltori, allevatori, artigiani e commercianti.
La posizione più elevata nella scala gerarchica spettava alla classe sacerdotale composta da druidi, bardi e vati, anche qui ricorre dunque la tradizionale struttura tripartita.
I druidi erano i sacerdoti veri e propri, essi officiavano i riti e i sacrifici, istruivano i giovani ed emettevano sentenze, erano in parole povere l’autorità principale. Coloro che non rispettavano i loro giudizi venivano considerati alla stregua di fuorilegge e venivano praticamente esclusi dalla comunità.
I druidi erano visti come detentori di una saggezza derivante dal mondo degli dei: essi non andavano in battaglia (perlomeno non abitualmente) ed erano esentati dal pagare i tributi.
Si è a lungo dibattuto sul significato del termine druido, a nostro avviso la spiegazione più attendibile è quella che lo fa derivare dalle parole Celtiche dru, prefisso accrescitivo, e wid il cui significato è sia vedere che “sapere“, il druido sarebbe pertanto il “molto sapiente“.
Il tirocinio per diventare druidi iniziava durante l’infanzia e vi potevano accedere i figli di tutti gli uomini liberi, tra questi solo una minoranza formatasi attraverso una naturale selezione giungeva a divenire sacerdote al termine di un percorso di circa una ventina di anni.
Naturalmente anche il sapere religioso veniva trasmesso oralmente, la trasmissione orale, al di là delle difficoltà che può creare agli studiosi contemporanei, aveva delle ragioni molto profonde. Essa consentiva infatti di adattare i concetti di base del druidismo a ogni nuova situazione, sicché la Tradizione poteva essere vista come qualcosa di eternamente vivente, cosa difficilmente realizzabile con la parola scritta.
Non deve sorprendere che i druidi fossero chiamati ad amministrare al tempo stesso le cose materiali e quelle spirituali, la dualità spirito materia era infatti praticamente sconosciuta, la stessa morte era vista come un naturale punto di passaggio, non era nemmeno conosciuto il moderno concetto di peccato (questo ovviamente non significa che non vi fosse una morale pubblicamente riconosciuta) e le azioni che potremmo definire negative venivano intese come errori o esperienze, questo lasciava gli individui liberi di vivere la propria vita senza quei sensi di colpa e quelle smanie autoflagellatorie tanto care a certe religioni. Se la materia e lo spirito erano parte di una stessa realtà trascendente è inevitabile che la natura e le sue forze avessero una parte molto importante nella religione druidica.
Il Celta si sentiva parte di essa, quasi una cosa sola con alberi, fiumi e animali, questo dato emerge chiaramente da certi racconti tradizionali in cui assistiamo alla trasformazione di eroi mitologici in forme di vita animale e vegetale, per poi ritornare alla forma originaria. I brani in questione avevano una forte connotazione simbolica: gli animali, nel simbolismo celtico, occupavano infatti uno spazio decisamente importante. I riti e i sacrifici venivano generalmente celebrati nei boschi, il santuario celtico era denominato nemeton e corrispondeva a una radura o a un tumulo situato all’interno di un bosco. Solo dopo i contatti con la civiltà greco-romana vennero a volte edificati piccoli templi in legno al cui interno veniva collocata una immagine della divinità cui il luogo era dedicato.
I rituali potevano essere di varia natura a seconda della divinità in onore di cui il rito veniva celebrato: in molti casi un ruolo di primaria importanza era riservato agli elementi di origine vegetale. La famigliarità dei sacerdoti celtici con determinati vegetali era tale che all’interno della comunità essi avevano anche la funzione di medici-guaritori.
Altrettanta importanza avevano i quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco, cui si faceva riferimento per simboleggiare il mutamento ciclico all’interno di una tradizione eterna.
Anche il pantheon celtico era influenzato dalla tradizione tripartita, infatti, presiedendo le varie divinità anche ad attività di tipo materiale, ricevevano ciascuna un particolare tipo di culto a seconda delle esigenze.
I nomi delle Divinità, pur mantenendo una chiarissima radice comune potevano subire leggere variazioni da regione a regione. La funzione era comunque sempre la stessa, se infatti i popoli Celtici hanno talvolta difettato in unità dal punto di vista politico, hanno comunque sempre avuto una grande omogeneità e compattezza culturale.
La divinità principale era probabilmente Lug-Lugus (il primo nome è quello gaelico, il secondo quello gallico, lo stesso discorso vale per gli altri) il “luminoso” Dio solare e multifunzionale, per certi versi accostabile all’Odino-Wotan germanico.
Altre Divinità che rivestivano un ruolo decisamente importante erano: Dagda-Taranis, letteralmente il “Dio buono”, divinità guerriera e sovrano universale, Dio dei druidi e druida lui stesso; Ogma-Ogmios, Dio dell’eloquenza e considerato il creatore dell’alfabeto Ogamico che veniva usato per attività magico-divinatorie; Brigit-Belisama, figlia di Dagda e prototipo della Dea madre portatrice di fecondità e abbondanza e Diancecht-Maponos, Dio della medicina.
Vi erano inoltre numerosi altri Dei le cui figure ricorrono con una certa frequenza nei racconti mitologici.
A questo punto sarà utile precisare che il pensiero druidico nelle sue forme più elevate e iniziatiche conteneva un evidente monismo, sicché le varie Divinità potevano essere viste come tante diverse manifestazioni di un unico Dio immenso e innominabile. Ciò non contrasta affatto con la tradizione tripartita, ne è anzi il completamento e al tempo stesso l’origine.
L’aldilà era concepito come la naturale prosecuzione di questa vita: essa continuava nelle terre beate che la tradizione poneva all’estremo ovest, oltre l’Atlantico.
Queste terre erano viste come isole verdi e rigogliose in cui regnava una perenne età dell’oro, i frutti e le messi crescevano spontaneamente e il dolore, la malattia e la morte erano sconosciuti. Le isole occidentali potevano assumere varie denominazioni come Avalon (“l’isola delle mele“), Emain ablach’ (“l’isola bianca“) o Tir na nog (“la terra della giovinezza“).
Talvolta nei racconti mitologici, si narra di uomini che grazie ad azioni di particolare rilevanza o a una grande saggezza, avevano potuto raggiungere le isole beate senza dover prima passare attraverso l’esperienza della morte.
Le festività della religione celtica si avvicendavano seguendo il corso del sole e della luna.
Le principali erano quattro: Imbolc, il primo febbraio, dedicato alla dea Brigit, era probabilmente una festa di purificazione; Beltaine, il primo maggio, in cui veniva reso omaggio al all’arrivo ormai prossimo dell’estate, fondamentale per le attività agricole e pastorali; Lugnasad, il primo agosto, in onore del Dio Lug e Samain, il primo novembre, ricorrenza che si suppone avesse un particolare riferimento all’ordine dei druidi.
Come abbiamo in precedenza accennato, gli animali avevano una grande importanza nel simbolismo tradizionale celtico, in questo senso gli animali più importanti sono sicuramente il cinghiale e l’orso.
Il cinghiale simboleggiava la classe sacerdotale. Questo spiega la frequenza con cui ricorre nelle raffigurazioni e nei racconti. L’orso invece era l’animale preposto a simboleggiare la classe aristocratico-guerriera, ad esempio il nome di re Artù (leggenda cristiana di evidentissima derivazione celtica) deriva dall’antico celtico artios che significa appunto orso.
La classe sacerdotale era completata dai bardi e dai vati. I bardi si dedicavano alla musica e alla poesia, alle quali veniva riconosciuto un valore sacrale, essendo considerate un dono delle Divinità.
Nell’antico mondo celtico le arti non erano concepite nel modo superficiale e profano tipici del mondo moderno e ad esse venivano attribuiti grandi poteri: il bardo poteva, tramite la sua arte mettere in comunicazione il nostro mondo con quello “superiore”, è quindi naturale chi venisse tenuto in grande considerazione terno della comunità.
Gli strumenti musicali più diffusi erano probabilmente l’arpa e il flauto, tuttora molto usati nella musica tradizionale celtica. Ai vati erano invece demandate le attività di tipo divinatorio.
La ripartizione della classe sacerdotale i druidi, bardi e vati non era però qualcosa di assolutamente rigido e per forza di cose i loro compiti potevano spesso intersecarsi.
Sembra ormai accertato che esistesse anche una particolare forma di sacerdozio riservato alle donne. La principale funzione di queste sacerdotesse era quella di celebrare riti e sacrifici in onore di divinità femminili, per i quali erano ritenute più indicate.
Una parte del potere spirituale (anche se come abbiamo già detto quando si parla di Celti è sempre arduo distinguere fra spirito e materia) era detenuta dalla classe guerriera, essa lo esercitava tramite il suo massimo rappresentante, il re (rix), il cui compito era quello di assicurare pace sociale, stabilità e prosperità facendo da ‘ponte” tra gli uomini e gli Dei. Prima dell’investitura, doveva dimostrare di essere all’altezza di ciò che da lui ci si attendeva superando alcune prove di tipo magico-iniziatico.
Gli altri compiti dell’aristocrazia guerriera consistevano nella difesa delle comunità, nel mantenimento dell’ordine interno e, all’occorrenza, nella conquista di nuovi territori.
Al tempo delle invasioni romane i druidi furono costretti a subire delle feroci persecuzioni: fu loro interdetto ogni tipo di attività e molti vennero uccisi. Questo accanimento era dovuto al fatto che i Romani speravano in questo modo di piegare la volontà di indipendenza dei Celti. In realtà, pur tra mille difficoltà, la tradizione druidica non si estinse mai completamente.
Un altro duro colpo giunse dalla diffusione (e spesso dalla imposizione con la forza) del Cristianesimo: anche in questo caso coloro che volevano seguire l’antica tradizione dovettero subire persecuzioni di ogni tipo sia materiali che morali.
Una parte del druidismo fu in quel momento costretta, pur di sopravvivere, a confluire nella nuova religione, mantenendo però una certa autonomia e continuando sotto il velo iniziatico dei simboli la dottrina originaria. Ad esempio, il mito cristiano del Santo Graal non è altro che la riproposizione di una antica leggenda celtica.
Basta inoltre confrontare le date di certe festività cristiane come la Candelora o Ognissanti con le ricorrenze celtiche per rendersi conto di quanto sia rimasto del paganesimo originario nella religiosità dei paesi europei.
Determinate espressioni della spiritualità celtica invece non poterono o non vollero, a causa di una evidente incompatibilità, confluire nel cristianesimo.
I rappresentanti di tali forme di religiosità per continuare a operare, furono costretti a celarsi nell’ombra. In particolare, questo destino toccò alle pratiche più strettamente magiche e guaritorie che la nuova religione ribattezzò con disprezzo stregoneria. Molte di queste pratiche erano talmente radicate che se ne possono ritrovare ancora oggi testimonianze viventi un po’ in tutta l’Europa, ovviamente nelle aree rurali.
Negli ultimi due secoli, e in particolare negli ultimi decenni, in tutti i paesi che sentono assai profondo il legame con gli antichi Celti si è assistito ad una interessantissima riscoperta della tradizione druidica. Diversi studiosi si sono specializzati in questo settore e si sono costituiti gruppi, associazioni e ordini che hanno come scopo dichiarato quello di riproporre e continuare la tradizione spirituale celtica, tanto che per essi si è in alcuni casi parlato di Neodruidismo.
Nella sempre più grave crisi di identità e di valori del mondo moderno, la civiltà celtica appare come una realtà al tempo stesso lontana e vicina, a cui ispirarsi e in cui rigenerarsi nella continua ricerca dell’essenza più profonda di noi stessi (intesi sia come individui che come popoli padano-alpini e più in generale europei), e di un futuro che possa coerentemente com-prendere le nostre più antiche tradizioni.
Il superamento di determinate contingenze materialistiche, nonché la riorganizzazione e la effettiva “rinascita” dell’Europa e della sua cultura di cui oggi tanto si sente il bisogno, passano necessariamente anche per questa via.
Mi pare infatti innegabile che in un’epoca come l’attuale, solo ciò che ha forti e profonde radici può reggersi in piedi e legittimamente guardare oltre.
Bibliografia
LI Jean Markale, Il druidismo, Mondadori, Milano 1994
Jean Markale, I Celti, Rusconi, Milano 1982 Ui Marco Fulvio Barozzi, I Celti e Milano, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano 1994
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Li Jean De Galibier, L’epopea dei Celti, Keltia Editrice, Aosta 1995
Li Hal Belson, L’arpa Celtica, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano 1994
Ella Young, Le meravigliose leggende Celtiche, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano 1996
Le Roux-C.J. Guyonwarc’h, La civiltà Celtica, Il cavallo alato, Padova 1987
Ailinn
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