American History X
è una pellicola del 1998 diretta da Tony Kaye, un ebreo ortodosso classe 1952 che, prima del lungometraggio, aveva condotto principalmente spot pubblicitari.
-SPOILER ALERT-
Il tema principale è l’ODIO, quale MALATTIA INFETTIVA ED INSENSATA che porta alla degenerazione sociale, personale ed affettiva.
Protagonisti sono due fratelli, Derek e Danny Vinyard (rispettivamente EDWARD NORTON, che si aggiudicherà la nomination all’ oscar per la sua magistrale interpretazione, e EDWARD FURLONG), Skinhead in una setta di neonazisti comandata da Cameron Alexander, proprietario di una casa editrice che promuove libri e gruppi musicali che inneggiano alla supremazia bianca.
Con una tecnica socratica, Kaye dirige una pellicola strutturata in modo tale da demolire i principi razziali dalle fondamenta, narrando la storia della conversione di una TESTA D’OSSO tra le più dotte, appassionate e capaci.
Con un intreccio magistrale la storia si apre dopo i 3 anni di reclusione di Derek, incarcerato per aver ucciso due afroamericani che gli stavano rubando l’auto. Danny, durante l’assenza del fratello, si ritrova ad essere l’unico uomo in una casa afflitta dalla povertà e dalla depressione. Cresciuto con il modello di Derek (che si era immolato al neonazismo mettendosi a capo dei vari attentati della setta a commercianti ed impiegati stranieri), ne fa le veci sia in famiglia che tra le teste d’osso, al punto tale da scrivere una tesina in lode al Mein Kampf, che lo fa finire al cospetto del preside.
Il direttore Bob Sweeney era stato l’insegnante di Derek nel periodo in cui il padre (un lavoratore bianco non privo di ottusi pregiudizi sugli afroamericani e sullo stesso professore) venne assassinato da un tossico durante il suo lavoro di pompiere. Questi, sebbene fosse visto con disprezzo dai neonazisti (quale afroamericano, di razza inferiore), per la propria autorevolezza e preparazione suscita comunque un fascino innegabile nel giovane alunno, che accetta la sua proposta di riscrivere la tesina, intitolandola ‘’American History X’’, e producendo un elaborato incentrato sulla figura del fratello maggiore.
Dopo una breve panoramica sulla vita domestica del ragazzo, che risulta essere premuroso e sensibile con i familiari, si aprono due flashback intensi.
Il primo racconta la figura di Derek agli occhi di Danny; Kaye evidenzia i vari momenti in cui la convinzione del giovane è collassata in scene di odio e violenza, culminate in un duplice omicidio straziante sotto gli occhi del fratello minore che diverrà una delle scene più conosciute del cinema occidentale. Soprattutto in questa prima parte retrospettiva del racconto, il regista, più che attaccare il movimento razziale, ne evidenza i capisaldi più duri da criticare: il fatto che l’immigrazione e l’integrazione degli stranieri abbia tolto potenziali posti di lavoro per gli americani, che in molti dei quartieri poveri delle metropoli gli immigrati compiano atti criminosi…
I cliché facilmente attaccabili vengono evitati per gran parte della narrazione in modo tale che il film risulti una critica alla parte PENSANTE del movimento e non a quella facilmente plagiabile.
Il secondo flashback narra la detenzione di Derek, che accortosi dell’ipocrisia degli altri neonazisti in carcere, dopo averli abbandonati ed avendo subito da questi una violenza sessuale per punire l’offesa, trova rifugio nella figura di un rapinatore di colore e del preside Sweeney, che lo aiuterà in una presa di coscienza sull’inutilità dell’odio, su quanto abbia influito negativamente sulla sua vita e quanto stia facendo lo stesso sul fratello minore.
Tornato a casa l’ex carcerato si converte ad una vita normale, e cerca di troncare ogni rapporto coi naziskin parlando prima con l’ex ragazza e poi con Cameron Alexander. Il DIVORZIO sfocia, però, in una rissa tra gli ex amici ed i nuovi adepti che, durante la sua assenza, lo avevano idolatrato come martire del movimento.
Il fratello minore, parlando con Derek, accetta ciò di cui si era reso conto già da solo ma non era riuscito a metabolizzare per via della fiducia nella sicurezza del fratello:”Che l’odio è una palla al piede: la vita è troppo breve per passarla sempre arrabbiati.”
Le scene finali scorrono in una velocità disarmante: Danny viene ucciso da un colpo di pistola nel bagno della scuola da un ragazzo di colore che aveva affrontato il giorno prima. Giunto sulla scena del delitto, Derek non può che lasciarsi andare ad un abbraccio disperato al cadavere del fratello, nel quale trapelano senza di colpa e un sofferenza.
In una scena straziante Tony Kaye critica il fenomeno delle vendette nelle grandi metropoli, espressione di un odio per i singoli fatti drammatici, che vengono generalizzati e sfruttati dalla gente come capo espiatorio per sfogare la propria disperazione sul gruppo avversario.
Con un ultimo salto nel passato, il regista ci riporta ad un momento di serenità nella famiglia dei ragazzi; quando il padre, ancora in vita, a tavola, si lasciò andare a commenti razziali sul preside Sweeney, facendosi portavoce di dicerie banali sugli afroamericani insidiando così, nella testa del figlio, il seme del razzismo, che sarebbe venuto fuori dopo l’evento drammatico.
Una pellicola fatta bene, mai banale, da un uomo che ha vissuto nella patria degli ‘’Skinhead e degli spirit of 69‘’ proprio durante la loro genesi e diffusione. Un cult divenuto monumento della stupidità razziale, consigliassimo a chi vuole ascoltare una critica ed una rievocazione di un periodo che diventa sempre più modello della nostra contemporaneità, afflitta dalle stesse idee e convinzioni che hanno portato alla diffusione di uno sfogo violento ed autodistruttivo a problemi causati da nemici a cui era ed è difficile dare un nome.
(Francesco Salvati 26-07-2016)
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